Declinazioni della psicoanalisi nella contemporaneità

Declinazioni della psicoanalisi nella contemporaneità
Rosa Elena Manzetti

Che cosa fa di un incontro, tra qualcuno che rivolge una domanda di analisi e un altro che l’accoglie in quanto psicoanalista, un’analisi?
La permanenza del significante ‘psicoanalisi’, e persino il suo allargarsi a macchia d’olio fino ad utilizzarlo per ogni attività che ricada sotto il nome di psicoterapia, non garantisce per niente la sopravvivenza della teoria e della pratica fondata da Freud e rinnovata da Lacan.
Non dimentichiamo inoltre che, come già al tempo di Freud poi al tempo di Lacan e anche oggi, gli psicoanalisti spesso si lamentano della difficoltà a essere coloro che portano sulla schiena il peso di produrre l’inconscio, sempre più restìo, ribelle a dirsi.
Un tale disagio riguarda da una parte le mutazioni del discorso del padrone nell’epoca in cui viviamo, che produce soggetti essenzialmente risucchiati dal godimento, rispetto ai quali sorge la domanda se siano, e a quali condizioni, analizzabili. Questa questione tocca l’inquietudine rispetto ai sintomi che definiamo nuovi e alle domande, entrambi considerati più refrattari e meno propizi all’entrata nel transfert.
Dall’altra parte, tale disagio apre sull’interrogazione se noi psicoanalisti contemporanei siamo capaci di raggiungere all’orizzonte la soggettività della nostra epoca, come dice Lacan. Se siamo capaci di far posto al dire dell’inconscio in una società che strutturalmente lo rigetta. Se siamo in condizione, noi psicoanalisti, di sostenere un atto tanto solitario e soprattutto non capitalizzabile in termini di godimento, in un mondo in cui non c’è altra causa che il cinismo del proprio godimento.
La psicoanalisi in quanto pratica si fonda sull’ipotesi del senso del sintomo. Supporre che il sintomo di cui soffre un individuo voglia dire qualcosa, che abbia un senso e che questo senso sia accessibile è come supporgli un soggetto e un sapere insaputo ma decifrabile, che permette di liberare un senso sconosciuto.
E’ l’ipotesi dell’inconscio in quanto sapere inconscio che scopre Freud. Da lui in poi l’obiettivo della psicoanalisi è innanzi tutto produrre le condizioni del dire dell’inconscio. Infatti al di là di quello che l’inconscio dice, è innanzi tutto il dire dell’inconscio che è di mira nell’esperienza psicoanalitica. Che l’inconscio si dica determina l’insieme delle associazioni libere, che sono la regola fondamentale dell’analisi.
L’inconscio, scoperto da Freud, è quindi l’inconscio decifrabile, che Lacan condensa nella formula ‘l’inconscio è strutturato come un linguaggio’. Perché questo possa avvenire occorre che l’inconscio dica e che il soggetto possa includersi, accogliere il dire dell’inconscio. Questo è il primo passo fondamentale nella pratica della psicoanalisi. Verificare l’opportunità di produrre le condizioni in cui si attua il dire dell’inconscio.
Ma l’esperienza psicoanalitica non si limita a questo, vale a dire a rivelare il significante rimosso, che agisce al di là del controllo dell’io. La cura analitica è ancora più essenzialmente legata al reale del sintomo, mira quindi all’osso, al nucleo che è causa delle associazioni che provengono dall’inconscio.
Nella direzione di una cura psicoanalitica si tratta per l’analista di poter condurre ciascun analizzante a usare il suo sintomo per raggiungere il reale del sintomo, raggiunto il quale il sintomo non ha più sete di verità. Il reale del sintomo ha sete di verità, quella che il soggetto mette in luce nelle decifrazioni del suo sintomo-metafora, del suo sintomo familiare, del suo sintomo ortodosso. Però per sperare di raggiungere la causa reale del sintomo, tramite la via della verità, occorre fare un uso logico del sintomo e non accontentarsi della verità del sintomo familiare. Un uso non logico del sintomo è quello che si accontenta della verità del sintomo significante, che produce soltanto il suo spostamento. In realtà dopo aver partorito la verità del sintomo occorre che il soggetto arriva al godimento opaco del sintomo che è eterodosso alla sua verità biografica. La verità biografica, significante, del romanzo familiare, non può dire niente, mente sul reale del sintomo. Soltanto rispetto a quel punto eterodosso il soggetto ha una scelta rispetto alla posizione da prendere rispetto al godimento che lo comanda.

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